Tutti quotidianamente utilizzano un buon numero di batterie, da quelle al litio che si trovano negli smartphone fino alle più classiche batterie microstilo AAAA, presenti in molti telecomandi e in dispositivi di piccole dimensioni. Negli ultimi anni si sta ripensando sia alla modalità con cui si producono batterie, sia alla possibilità di produrne di nuove tipologie. Un esempio di questo è dato dalla creazione di batterie al sale marino; progettate per accumulare l’energia prodotta con impianti fotovoltaici o eolici e poterla poi riutilizzare nel tempo.
Le batterie più diffuse
Le batterie più diffuse nell’uso comune sono quelle al litio, utilizzate per dispositivi ricaricabili, e quelle più classiche alcaline, che si possono acquistare in tanti negozi diversi e che sono presenti in moltissimi dispositivi. Ogni giorno si approfitta di un ampio numero di batterie, a volte anche senza rendersene conto. C’è quasi sicuramente un set di 2-3 batterie AAAA nel telecomando del televisore, così come nei giocattoli sonori dei bambini. Ci sono poi batterie utilizzate nell’industria, per far muovere un carrello elevatore o per gestire un macchinario che funziona senza cavo di alimentazione. Le pile classiche contengono al proprio interno dei Sali, che grazie agli scambi ionici consentono di utilizzare l’energia che conservano nel tempo, fino ad esaurirle. Ne esistono sia di usa e getta, sia di ricaricabili, come ad esempio le batterie al litio di alcuni dispositivi. Non tutte le pile contengono le medesime sostanze, perché si cerca costantemente di rendere minore l’impatto ambientale dei Sali utilizzati e allo stesso tempo di produrre batterie che consentano di conservare quantità maggiori di energia elettrica, da utilizzare in un secondo tempo.
A cosa servono le batterie al sale marino
Le batterie al sale marino fino ad oggi progettate e testate non sono pensate per andare a sostituire le pile microstilo AAAA, si utilizzeranno invece per produrre accumulatori di grandi dimensioni, adatti a conservare nel tempo l’energia prodotta da un impianto eolico, idroelettrico o fotovoltaico. Queste fonti energetiche infatti, seppur pulite e rinnovabili, hanno una caratteristica negativa che le accomuna: la loro possibilità di produrre energia è correlata a fattori esterni, non controllabili dall’uomo. Per fare un esempio pratico, comprensibile da chiunque, un impianto fotovoltaico preleva l’energia offerta dai raggi solari; questi ultimi sono disponibili per alcune ore al giorno, e a volte nel corso della giornata in modo altalenante, a causa di nubi o nebbia. L’idea è quella di conservare l’energia prodotta nel corso delle ore soleggiate, per poi poterla sfruttare anche durante la notte, o quando le nubi impediscono ai pannelli di ricevere sufficiente luce solare per funzionare. Lì entrano in gioco i grandi accumulatori, come ad esempio quelli proposti negli ultimi anni, a base di sale marino.
Come funzionano
Proprio come avviene con una delle classiche pile AAAA, anche nelle batterie al sale sono presenti sostanze che permettono di accumulare energia elettrica, che è poi disponibile per qualsiasi utilizzo. I Sali utilizzati si trovano facilmente nell’acqua di mare, come ha dimostrato un team di ricerca australiano. Questi ricercatori si sono basati su una tecnologia già nota, perfezionata per essere più sicura e meno impattante sull’ecosistema. Queste batterie infatti non solo permettono di accumulare fino a 4 volte più energia, ma sono ricaricabili e hanno superato i 1.000 cicli di ricarica.