Giovanni Brusca ha scontato la sua pena, ridotta grazie alla collaborazione. Qual è la storia del killer della mafia corleonese
Non sono passate neanche ventiquattro ore dalla scarcerazione di Giovanni Brusca, anzi, neanche mezza giornata, e le reazioni non si sono fatte attendere. L’uomo di fiducia dei corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano, il boia di San Giuseppe Jato che pigiò il tasto sul telecomando che provocò la strage di Capaci, ha scontato totalmente la sua pena ed ora è un uomo libero.
Ha usufruito di alcuni benefici previsti per i collaboratori di giustizia, quando lo divenne davvero. Brusca infatti, in accordo con il fratello Enzo, decise di fingere la sua collaborazione, con gesti concordati su cosa dire e non dire, poi svuotò il sacco davvero.
Classe 1957 è stato capomandamento di San Giuseppe Jato come fu suo padre Bernardo, morto nel 2000. Una dinastia di mafiosi ed ebbe l’iniziazione direttamente da Riina. Per ‘u curtu ha commesso oltre cento omicidio. Era soprannominaco ‘u scannacristiani per la sua ferocia ma anche ‘u verru, il porco, e faceva parte dello zoccolo duro della mafia corleonese, killer spietati come Nino Madonia e Pino Greco detto Scarpuzzedda.
Con Madonia nel 1983 preparò l’autobomba che uccise Rocco Chinnici, il giudice istruttore che fondò il pool antimafia che fu di Falcone e Borsellino. L’anno successivo, in seguito alle dichiarazione di Tommaso Buscetta, fu colpito da un mandato di cattura.
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Da latitante compì i delitti più atroci. Alla fine degli anni ’80 cosa nostra dichiarò guerra allo Stato e agli uomini che disturbavano i suoi interessi, ma anche ai collaboratori di giustizia, i “pentiti” o “gli infami” come si dice in ambito mafioso.
Face parte del gruppo di fuoco che uccise il politico democristiano e andreottiano Salvo Lima dopo la sentenza di Cassazione del maxiprocesso del 1992, lo stesso anno di Capaci. È noto soprattutto per il sequestro e l’uccisione di Giuseppe Di Matteo, rapito a 13 anni e ucciso a 15, prima di essere sciolto nell’acido, solo perché figlio di Santino, altro collaboratore di giustizia.
Uno dei primi a commentare in queste ore è stato proprio lui. Intervistato dal Corriere della Sera, Di Matteo ha detto che “lo Stato si è fatto fregare da un imbroglione“. Un soggetto che “non appartiene all’umanità”, perché oltre ad aver sciolto il figlio nell’acido ha anche strangolato una ragazza incinta.
Non sa cosa possa succedere se dovesse incontrare Brusca, dice nell’intervista. L’ex mafioso, da una località segreta, ricorda che un anno fa uscì anche Ganci, l’altro assassino del figlio. “Ti diamo qualcosa, ma non puoi uscire. Perché se esce, che giustizia è?” commenta con amarezza e rabbia.
Dovevano buttare le chiavi, ha invece commentato Giuseppe Costanza, l’autista di Falcone che si salvò dalla strage. In queste ore sono in tanti a voler dire la loro come Tina Montinaro, vedova di Antonio, il caposcorta del giudice assassinato.
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All’AdnKronos si dice indigna mentre è più pacata la reazione di Maria Falcone, sorella del giudice che parla di notizia che addolora umanamente ma è comunque la legge che lo prevede. “Brusca libero? Non voglio crederci” scrive su Twitter la sindaca di Roma Virginia Raggi mentre Rita Dalla Chiesa, figlia del Generale, parla di “vergogna di Stato”.
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