Dopo sei anni si conclude la vicenda giudiziaria legata alla morte di Marco Vannini. La Cassazione ha infatti confermato le condanne per tutti i membri della famiglia Ciontoli.
Il caso Vannini può dirsi finalmente concluso. La Corte di Cassazione ha infatti emesso oggi il suo verdetto su una vicenda iniziata sei anni fa con la ferita con arma da fuoco del giovane in casa Ciontoli, al quale è succeduta la morte al pronto soccorso.
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Nello specifico Antonio Ciontoli dovrà scontare 14 anni di reclusione, mentre agli altri familiari sono stati comminati 9 anni e 4 mesi per concorso anomalo in omicidio volontario. Il legale della famiglia annuncia che i suoi assistiti si costituiranno in carere questa sera.
Marco Vannini, una vicenda oscura dall’inizio
Il caso Vannini genera dubbi fin dall’inizio. Nella notte tra il 17 e il 18 maggio 2015 il giovane si trova a Ladispoli, a casa della fidanzata. All’improvviso però avviene il ricovero che ne constata la morte al pronto soccorso poche ore dopo.
All’inizio Ciontoli parla di un colpo di pistola partito per sbaglio. Emergono però subito delle incongruenze: in primis i soccorsi chiamati in ritardo. Poi il motivo del ricovero additato con un incidente con un pettine, del tutto avulso dai buchi e dalla grave perdita di sangue del giovane.
Una lunga battaglia legale
Si apre così la battaglia legale nei tribunali. In primo grado arriva la condanna per omicidio doloso, che però viene derubricato in appello come colposo. Di conseguenza la pena scende a cinque anni ma la famiglia non ci sta e trova giustizia nella Cassazione.
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Quest’ultima infatti annulla la sentenza di secondo grado, riportando le carte dinanzi alla Corte d’Assise di Roma. In questo caso i giudici danno ragione all’accusa, sentenziando la condanna per omicidio con dolo eventuale. Oggi è arrivato anche il provvedimento definitivo della Suprema Corte, che mette la parola fine alla vicenda.