La leggenda del coccodrillo del Maschio Angioino, l’ha raccontata anche Benedetto Croce: il ritrovamento nel 2004
Che Napoli sia un museo a cielo aperto è chiaro a tutti. Basta immergersi per qualsiasi strada e scoprire che lì c’è una storia che si tramanda da secoli. Forse non vera ma si tratta solo di una diceria o di una leggenda. Di certo è che da secoli la città partenopea ispira artisti anche per queste narrazioni.
Uno dei luoghi più antichi della città e pertanto custode di tante storie è il cosiddetto Maschio Angioino. Edificato come fortezza militare posta sul mare dalla dinastia francese degli angioini nel XIII secolo (ancora oggi è possibile vedere come la base del castello sia di un colore più scuro perché erosa dal mare), è il Castrum Nuovo. Castrum stava a indicare un accampamento militare, nuovo rispetto all’altro grande e famoso castello della città posto sul mare, Castel dell’Ovo in via Partenope.
Nei sotterranei ci sono due grandi celle, la prigione della congiura dei Baroni e la fossa del miglio. Quest’ultima prese il nome di fossa del coccodrillo. Vi fu rinchiuso anche il filosofo calabrese Tommaso Campanella.
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In Storie e leggende napoletane, lo storico e filosofo napoletano Benedetto Croce narra l’origine del nome. Era una cella sottostante il livello del mare, umida, ma da dove, con stupore, i prigionieri sparivano. Il dubbio era che scappassero, ma l’ipotesi era più che improbabile.
“Disposta una più stretta vigilanza”, scrisse Croce, un giorno chi controllava assistette a uno spettacolo terrificante. Da un “buco celato” uscì “un mostro, un coccodrillo” che afferrava le gambe del prigioniero e se lo portava in mare.
Sempre secondo Croce il coccodrillo fu portata a Napoli dall’Egitto dalla regina Giovanna II, moglie di Giacomo di Borbone dal 1415. Donna bella e piena di amanti, utilizzava il rettile per sbarazzarsi dei suoi uomini.
Storie così, infarcite dalla natura di leggende, miti, cronaca vera e fantasiose paure, hanno sempre più versioni. Croce racconta anche che Ferrante d’Aragona (sovrano con il nome di Ferdinando I dal 1458 al 1494) utilizzò il coccodrillo contro i baroni ribelli che vinse e rinchiuse nella segreta stanza.
Sarebbe stato lo stesso regnante di origine spagnola ad eliminare il rettile dandogli in pasto una coscia di cavallo avvelenata. Come terribile monito, il re avrebbe anche imbalsamato il coccodrillo e posto in alto all’ingresso del Maschio Angioino.
Le leggende nei secoli vengono rafforzate o relegate nel dimenticatoio. Nel 2004 questa del coccodrillo visse una nuova stagione quando in occasione degli scavi per la realizzazione della stazione metropolitana di piazza Municipio emerse lo scheletro di un coccodrillo.
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Era proprio il rettile in questione o un qualsiasi cetaceo passato nelle acque di Napoli nel lungo periodo in cui il castello era bagnato dal mare? Il dubbio resta e dunque la leggenda ha sempre più fascino.
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