Terremoto Irpinia, la canzone che ispirò Pino Daniele è di un minuto e tredici secondi, la durata della scossa di quarant’anni fa
Tutti i campani e i lucani sanno dov’erano e cosa stavano facendo alle 19.34 del 23 novembre 1980. Tantissimi erano a casa perché in una domenica sera d’autunno non c’era molto da fare. “Profonda è stata la ferita alle popolazioni e ai territori. Immensa la volontà e la forza per ripartire”, ha detto oggi il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ricordando la tragedia.
Quasi tremila morti, ancor di più i feriti e gli sfollati che per anni hanno vissuto in baracche provvisorie a causa delle ruberie di politica, camorra e imprenditoria. Ma soprattutto una ferita che resta là, come la gigantografia della prima pagina de Il Mattino di qualche giorno dopo che ancora oggi campeggia alla stazione della metropolitana Cavour di Napoli: “Fate presto“, era scritto, con la foto di Sant’Angelo dei Lombardi distrutto, paese irpino epicentro del sisma.
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Anniversario terremoto Irpinia, Pino Daniele trasformò in tempo della tragedia in dolce melodia
Che la ferita rimanesse aperta per molto tempo lo sapeva bene Pino Daniele che all’epoca firmava i primi successi: “ma i’ mo’ nun ‘ngarro cchiù, nun ‘ngarro cchiù a sunà”, non riesco più a sognare, scrisse è cantò Pino in “È sempre sera“, canzone che chiude l’album Vai mo’ del 1981. Secondo alcuni il disco era ormai pronto ma Pino volle fortemente inserire questo pezzo che dura solo un minuto e tredici secondi, esattamente come la scossa.
“Chisst’anno nun se po’ scurdà, avuote ‘e gira è seme sera…” Quest’anno non si potrà dimenticare così facilmente, gira e rigira ed è sempre sera. È sempre buio ma c’è comunque voglia di riscatto, “è sempe ‘ncuollo a voglia ‘e dà'” c’è sempre la voglia di dare, di reagire e rialzarsi.
Una tragedia trasformata in una dolce e piacevole melodia. Quel minuto e passa di terrore che diventa suono “serio” ma spensierato, virtù che hanno gli artisti quella di ricordare con piacevolezza. “Chisst’anno nun se po’ scurdà“, quest’ano non si può dimenticare, dice il testo in apertura. Anche per il 2020 lo diciamo, ma per altri motivi.
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