Stragi Falcone e Borsellino del 1992, carcere a vita per il boss trapanese che sposò la direttiva di Totò Riina
Dopo ventotto anni dai fatti arrivano ancora condanne per le stragi di mafia del 1992. Per l’uccisione del giudice istruttore Giovanni Falcone e del collega Paolo Borsellino e delle rispettive scorte la Corte d’Assise di Caltanissetta, presieduta da Roberto Serio, ha condannato all’ergastolo come uno dei mandanti delle stragi Matteo Messina Denaro, il superlatitante ritenuto dagli investigatori l’attuale capo di cosa nostra.
Nella requisitoria del Procuratore aggiunto Gabriele Paci sono stati ricostruiti i fatti che hanno portato alla condanna. Come mandante delle stragi fu già condannato Totò Riina, l’allora capo di cosa nostra arrestato nel gennaio 1993 e morto nel novembre di tre anni fa. Il Procuratore ha parlato di “supercosa”, un gruppo ristretto di persone fidatissime con Riina a capo e tra queste c’era anche ‘u siccu, Messina Denaro.
Ci fu anche l’appoggio del boss di Castelvetrano nella strage per eliminare Falcone in Sicilia dopo aver scartato la possibilità di fare un attentato a Roma dove il giudice allora lavorava. Dopo cosa nostra accelerò per eliminare anche Paolo Borsellino che era già nel mirino di Messina Denaro.
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Secondo la ricostruzione del Procuratore Paci, Matteo Messina Denaro aveva già condannato a morte Borsellino quando questi nell’ottobre del 1990 aveva chiesto l’arresto di padre, Francesco Messina Denaro, morto in latitanza. Borsellino in quegli anni stava sferrando duri colpi alla mafia trapanese, territorio dei Messina Denaro, e il ruolo del boss fu quello di convincere tutte le famiglie della “sua” provincia di accettare la proposta stragista di Riina.
Nel dettaglio la Corte d’Assise ha condannato il boss a isolamento diurno per la durata di 18 mesi e al pagamento delle spese processuali oltre all’interdizione dai pubblici uffici viene anche decaduto dalla responsabilità genitoriale.
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