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Categories: News

Appello a Napolitano: “Fatemi morire in cella”

Un appello al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per chiedere di poter morire. A chiederlo in una lettera indirizzata al Capo dello Stato è Vincenzo Di Sarno, detenuto a Poggioreale, malato di tumore, e attualmente recluso nel padiglione San Paolo. Vincenzo di Sarno ha 34 anni, e’ entrato in carcere che pesava 115 kg e attualmente ne pesa 54 e già nell’ottobre scorso aveva scritto una lettera al Capo dello Stato, con la richiesta di ottenere la grazia per poter andare in una clinica in Svizzera. Il caso, insieme a quello di Angelo Rosciano, detenuto diabetico e con gravi problemi di salute, con un arto amputato, sulla sedia a rotelle e semicieco, e’ al centro della lotta dei Radicali in Campania.

LA LETTERA:
La mia situazione è un inferno, sopravvivere così come fossimo “bestie” (loro godono di più attenzioni) in una struttura piena zeppa di barriere architettoniche e, durante la giornata, a causa di forti dolori retro-nucali devo obbligatoriamente indossare un fastidioso collare cervicale rigido, anche per mancanza di cure adeguate alla grave patologia da me indicatole. Adesso le chiedo: può un essere vivente campare in questo modo?! – prosegue – Dato che la malattia è neurodegenerativa e che nel giro di un anno o poco più ho perso circa 60 chili, perché tanta malvagità e disprezzo verso di me? E questo tipo di popolazione sempre più numerosa?! Ma anche da parte del carcere di Poggioreale nei confronti di una persona con estrema fragilità psicologica, ma anche perché per loro, oggi come ieri e domani, è sempre uguale! Bah, comunque so solo che la testa mi scoppia».Faccio appello a lei perché oramai sono allo stremo delle forze, sia fisiche che mentali e che, se potessi, sceglierei la pena di morte: intramuscolo – endovena, oppure essere inviato in qualche clinica svizzera ad effettuare l’eutanasia. Egregio Signor Presidente: mi indichi lei quale di queste due strade debbo intraprendere. Nell’attesa di un benevolo accoglimento, le porgo i miei più doverosi ossequi“.

Alessandro Savoia

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