Ischia VIII secolo a. C., un gruppo di marinai provenienti dalla Grecia, dopo essersi stanziati sull’isola verde, al tempo Pithecusa, guardando verso la terraferma, scorsero un piccolo promontorio di origine vulcanica a picco sul mare. Da qui la decisione di trasferirsi sulla penisola italica per fondare quella che fu definita dal geografo Strabone, “la prima colonia greca d’Italia”. Tutto comincia da qui, dalla Magna Grecia al nostro Occidente moderno, consumista e capitalista, tutto ebbe inizio alla metà dell’VIII secolo prima della nostra era sul litorale di Cuma…
Terre verdi e lussureggianti, una natura vulcanica benevola sia con la terra che con il mare. Raccolti abbondanti, mare pescoso, coltivazioni di frutti di mare, tutto nella ridente pianura cumana era possibile. La città in poco tempo divenne culla della civiltà e faro irradiatore della cultura greca in tutto il Meridione d’Italia ed oltre. La storia, il mito, fino alle parole immortali di Virgilio, che qui ambientò parte del mitico viaggio di Enea, fuggitivo da una Troia in fiamme. L’approdo presso la spiaggia, il suo colloquio con la Sibilla, la ricerca del mitico ramo d’oro e poi finalmente la sua discesa agli inferi, nel lago d’Averno. Scenario più suggestivo non poteva esistere per ambientare qui parte dell’avventura narrata nell’Eneide.
Dal passato al presente, il salto è notevole ed inevitabilmente è verso il basso. Noi, moderni eredi di un passato imponente e glorioso, siamo riusciti a trasformare la mitica Cuma, in un luogo dimenticato, dove attualmente arrivarci è quasi un’impresa se non si è in possesso di un proprio mezzo di trasporto. Il Parco Archeologico, rappresenta oggi una cattedrale nel deserto. Meravigliosa la visita archeologica alle rovine della città bassa, alla necropoli ed all’acropoli. Stupenda la vista mozzafiato che dai belvedere dell’acropoli, si apre sul mare e sull’isola di Ischia che regna sovrana e maestosa a poca distanza. Bellissimo anche il colpo d’occhio che si ha osservando il binomio creato dalla striscia verde della lecceta e dalla duna sabbiosa, che separano la collina dal mare.
Oggi di quel passato che fu, restano ricordi sparsi, vaghe immagini, che tornano alla mente quando ci si isola all’interno del Parco Archeologico, o quando si passeggia nella Foresta Regionale, nella mitica lecceta, che stenta a sopravvivere perché non redditizia per le casse della Regione Campania, ma tanto benefica per chi ama questi luoghi dimenticati. Tra lo sforzo dei forestali (per lungo tempo senza stipendio) ed il buon senso delle associazioni che danno un grosso contributo alla tutela del territorio, la Foresta affanna e non riesce a diventare quel polo attrattivo che merita di essere. Quasi ottocentomila euro investiti dal P.O.R. Campania 2000/2006 per il restauro ambientale, la riqualificazione della stazione della Circumflegrea di Cuma (mai andata in funzione a pieno regime) e la creazione di percorsi pedonali. A tanto ammonta l’investimento iniziale che è servito per riportare in auge la foresta. Ma il rischio dell’abbandono è sempre in agguato, perché dalle parti nostre purtroppo è ancora lontana l’idea di investire per il benessere dei cittadini.
Il mare. Qui a Cuma, il mare non esiste. Del lido sul quale approdò Enea non resta che un ricordo. Di chilometri di duna sabbiosa e di spiaggia dalla sabbia fine e dorata resta solo un’immagine in bianco e nero di quei napoletani che scendevano alla fermata di Cuma per andare a fare il bagno. Una vacanza low cost per tutti quelli che non partivano per destinazioni lontane e per i quali il mare flegreo rappresentava l’unica occasione vacanziera. Adesso lo scenario è cambiato. Ora su quella spiaggia non ci va più nessuno, o quasi. Qualcuno passeggia con il cane, altri temerari di tanto in tanto pescano. Per lo più si fanno allenare i cavalli. Decine di fantini, che prima utilizzavano l’ippodromo abusivo che era li vicino, dopo l’esproprio da parte della Soprintendenza Archeologica, si sono riversati su quella spiaggia abbandonata. Degrado ed incuria però non sono dettati dal caso, perché la spiaggia di Cuma è tristemente nota per quel mostro che regna sornione e prepotente sulla riva: lo scarico del depuratore di Licola. È lì, grande, evidente, maestoso, non puoi non vederlo, perché il suo profilo lo riconosci anche da centinaia di metri di distanza. Da quel canale che arriva al mare, qualche anno fa l’allora capo della Protezione Civile Bertolaso, diede ordine di riversare in mare il percolato proveniente dalle discariche campane, provocando la distruzione di quel che restava dell’ecosistema del litorale. Ancora oggi ogni giorno si riversa in mare l’acqua frutto della depurazione, per alcuni (le istituzioni) acqua pulita, per molti (tutti gli altri) acqua comunque sporca. Un giro sulla spiaggia dopo una mareggiata è quanto mai significativo, perché il mare ingoia quello che i depuratori non filtrano. Ma il mare sa anche restituire e proprio dopo la tempesta, la spiaggia si trasforma in una costellazione di rifiuti, che si stendono dalla riva fino alla duna mediterranea, protetta da un’apposita normativa. Di quel mare nel quale Greci e Romani trovavano fonte di sostentamento non resta più nulla, perché lo stesso mare a distanza di secoli è stato avvelenato dalla mano dell’uomo moderno. Qui, su questa costa vige il divieto di balneazione, un paradosso tutto nostrano, che si scontra con gli sforzi fatti fino ad ora per rivalutare il Parco Archeologico e la lecceta ad esso non ancora collegata, nonostante i milioni di euro investiti per unire le due realtà attrattive. L’ennesima opera incompiuta, per la quale chissà quanto tempo ancora dovremo aspettare, prima di ritornare ad essere fruitori fortunati di una potenziale meraviglia.
Per il momento il famoso volto dell’elefante (visibile sul lato della collina di Cuma rivolto verso il mare) continua a guardare triste e solitario il sole che di fronte si immerge all’orizzonte nel rossore di un fuoco flegreo che non vuole spegnersi. L’elefante resta lì, immobile, nutrendo la vana speranza che qualcuno torni a fargli compagnia e goda con lui della meraviglia di un tramonto cumano. Sono sicuro che se potesse parlare direbbe ai turisti “benvenuti a Cuma, qui dove una volta c’era il mare”.