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Categories: Cultura

Intervista a due terroni a zonzo e capire: lasciare napoli o restare?

Lasciare Napoli o restare? È questo il dilemma di Diego Armando, Ilaria e Michele, i tre protagonisti “Tre terroni a zonzo” di Antonio Menna. Lo scrittore, dopo aver raccontato come sarebbe stata la vita di Steve Jobs se fosse nato a Napoli, torna a parlare nel suo ultimo romanzo del rpporto tra giovani e futuro a Napoli.

Antonio Menna, racconta la storia di un rebus irrisolto. “Te ne vai e la rimpiangi. Resti e la maledici. Un ragazzo che vuole realizzarsi che opportunità ha? Secondo me pochissime. Quasi nulle. Andarsene, così, diventa quasi una necessità. Non una fuga ma l’unica soluzione. E se qualcuno vuole rimanere? Che speranza ha di realizzarsi, rimanendo? – ha dichiarato a Vesuvius lo scrittore – La risposta nel libro è una: deve riscrivere il suo sistema di valori e di ambizioni. Se vuoi restare, preparati a pagare un prezzo altissimo nel tuo progetto di vita. Del resto, anche andarsene significa pagare qualcosa. Un piccolo lutto permanente”.

Le vicende raccontate sono state costruite raccogliendo testimonianze e suggestioni di ragazzi, che hanno lasciato Napoli o che hanno deciso di restare. Tra i ringraziamenti dell’autore a fine libro compare anche il nome di Marianna, che come tanti dalla provincia di Napoli è approdata a Milano dove lavora per un importante canale televisivo. “Mi ha fatto una strana sensazione sapere che in qualche modo i miei aneddoti potevano aver ispirato la storia del romanzo. – ha dichiarato Marianna – Sfogliandolo mi è caduto l’occhio sulla parte nella quale la ragazza, Ilaria, viene finalmente invitata a pranzo dalla collega. Credo che quello sia un frammento tratto dalla mia storia. Nel mio caso ci sono voluti circa sei mesi per prendere un caffè con le colleghe”.

Marianna vive a Milano con il compagno, Antonio, trasferitosi anche lui e in carriera presso una nota casa editrice. A loro abbiamo rivolto alcune domande per capire com’è lasciare tutto e andarsene.

Come siete arrivati a Milano?

Marianna: E’ stata una scelta forzata oppure avevate già in programma di andare fuori? Avevo voglia di cambiare e di mettermi alla prova. A un certo punto ho sentito che giravo in tondo e non vedevo prospettiva. Così ho mandato un paio di curricula e alla prima telefonata senza molte aspettative sono partita con un paio di cambi in valigia.

Antonio: Non avrei mai pensato di vivere e lavorare a Milano. Napoli è la mia terra, Fuorigrotta – quartiere di Napoli, del Napoli e dello stadio S. Paolo – l’unico posto in cui mi sento a casa. Mi piacerebbe rispondere che sia stato il caso a portarmi qui, purtroppo devo rispondere che è stata la necessità di trovare un lavoro. Quindi sì, è stata una scelta forzata, ma necessaria.

Com’è la vita di un terrone a zonzo?

Marianna: È una vita organizzata, posso dirti le mie partenze da qui a 4 mesi. E piena, mi sto costruendo una vita qui con il mio compagno fatta di casa da gestire, lavoro, impegni,  nuove e vecchie amicizie, ma il mio perno principale è a Napoli con la mia famiglia, gli amici e l’interesse vivo per la città.

Antonio: E’ fatta di equivoci e difficoltà, di storie raccontate in treno a chi come te gira l’Italia. È una vita stancante ma appagante, bella perché ti fa crescere, ma anche perché ci sarà sempre un treno che ti porta a casa.

 Avete in progetto di tornare?

Marianna: Mi piacerebbe sì. Essermi formata a Napoli e poi aver portato tutto altrove non mi piace molto. Avrei voluto spendermi per Napoli ma – nel mio caso – il prezzo da pagare era svilire l’impegno e i titoli conquistati. Mi sento cittadina del mondo e vorrei vivere in altre città europee che mi affascinano come Berlino o Parigi.

Antonio: Il cuore risponde sì, la testa risponde no, io ti rispondo non so.

Infine, ad Antonio Menna abbiamo chiesto se esiste una risposta a questo rebus irrisolto. Gli eventi che si susseguono nel romanzo fino alla sua conclusione fanno molto riflettere e ognuno può trarre le proprie conclusioni. Menna ha dichiarato: “Non sono un saggista. Non sono un sociologo né un economista. Non faccio analisi sociale. Racconto storie. Narro vite, emozioni. Mi sembra che questa strada (quella della narrazione minima di storie personali) ci dica molto di più di un saggio. Ci consente di calarci in quei panni, di vedere con quegli occhi. Io ho provato a raccontare questo e l’ho fatto col mio metodo.”.

Mila Orlando

giornalista free lance, ha al suo attivo diverse collaborazioni giornalistiche.

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