Ieri in Campania l’ennesimo tour ai luoghi della morte civile. Stavolta a gironzolare per siti di stoccaggio è toccato a Gaetano Pecorella e Paolo Russo, rispettivamente Presidente della Commissione di inchiesta sugli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti il primo, parlamentare del Pdl il secondo. L’ennesima passeggiata da parte di esponenti di organi governativi, che ogni volta restano a bocca aperta quando si trovano di fronte a situazioni, come quella di Taverna del Re, Chiaiano, Cava Sari, Pisani solo per citare alcuni casi. Pecorella ha affermato che per tenere a terra per undici anni tutte queste balle di immondizia, che di ecologico non hanno assolutamente nulla, occorrerebbero circa duecentoquaranta milioni di euro. A Taverna del Re la prima balla (in tutti i sensi) è arrivata nel duemilauno e di li a poco è stata prontamente seguita dalle altre. La cosa che sorprende è il loro stupore nei confronti di scempi, realizzati con i soldi di tutti, da parte dello stesso Stato per il quale lavorano.
Otto anni, dal 2001 al 2008, tanto c’è voluto per creare una città della morte. Ma Taverna del Re non è la sola, in Campania sono circa trenta i siti di stoccaggio, che accolgono la spazzatura che negli scorsi anni, gli interventi straordinari del governo Berlusconi, non hanno fatto altro che eliminare dalle strade, accumulandola in punti specifici. Una grande lavata di faccia che di fatto non ha mai risolto il problema. Certo la colpa non è solo del governo Berlusconi e dei suoi funzionari criminali, su tutti Bertolaso. Il problema immondizia esiste da decenni, ma è dalla metà degli anni novanta, che il problema ha preso il nome di “emergenza rifiuti”, trasformandosi in un’occasione per creare la grande farsa della gestione dei rifiuti in Campania. Fiumi di milioni di euro che hanno investito trasversalmente tutta un’intera classe politica, senza distinzione di bandiere o colori. L’unico colore ammesso era quello del denaro. Commissari, super Commissari, cyborg venuti dallo spazio, nessuno però in grado di imporre una vera volontà alternativa. Siamo al duemiladodici ed ancora si cerca di portare avanti piani regionali scellerati e distruttori, come se la gente da sola non avesse provveduto alla propria formazione in materia di rifiuti, scoprendo mondi totalmente sconosciuti alla gran parte dei nostri amministratori.
Nel nome del bene sovrano. Ovvero le loro tasche. Con questa scusa, si sono giustificati nel corso di questi diciotto anni di crisi rifiuti in Campania, devastazioni ambientali senza precedenti, che hanno visto da un lato la morte di interi territori, dall’altro i soprusi perpetrati dalla mano armata dello Stato nei confronti delle popolazioni che con forza – e a pieno diritto- in questi anni si sono battute per la salvaguardia della propria salute. La logica dell’abuso e del sopruso, l’imposizione forzata dell’apertura di una discarica, di un inceneritore, di un sito di stoccaggio, hanno tutte il sapore amaro della morte dell’espressione democratica a scapito dei cittadini e della vittoria di una mentalità frutto di una classe politica pacioccona e compiacente, per non dire connivente. Tumori in aumento e malattie, sono al primo posto nei pensieri dei cittadini, preoccupazioni che vanno oltre la semplice puzza che un mostro come una discarica può provocare.
La politica è cieca. Marcegaglia, Cerroni, Impregilo, nomi importanti di imprenditori di livello internazionale, legati al milionario business dei rifiuti. Lo Stato si affida a loro, ai loro inceneritori, alle loro discariche e loro si arricchiscono, mentre intorno ai loro impianti la morte avanza inesorabile. Non solo la Campania, ma anche Lazio, Calabria, Puglia, Sicilia e tante altre regioni. Un rapido giro per lo stivale, passando dalla Val Susa e ti rendi conto che esistono comunità in lotta ovunque. Nel Lazio ad esempio, la discarica di Malagrotta, la più grande d’Europa, che per trent’anni ha ingoiato rifiuti indifferenziati è satura e si stanno cercando altri buchi da riempire, alcuni di proprietà dello stesso Cerroni, che sembra del tutto incurante del fatto che possa inquinare e compromettere la vita di una comunità, quello che conta è il profitto. Riano, Corcolle, Albano Laziale, Peccioli, luoghi in cui esistono realtà in fibrillazione, in cui l’incubo è vivo. Solo in Italia ad esempio si poteva pensare di aprire una discarica a pochi passi da Villa Adriana a Tivoli. Ad Albano poi, oltre il danno anche la beffa. Qui infatti esiste già una discarica, adesso però vogliono costruirci anche un inceneritore e “stranamente” i cittadini si stanno ribellando.
Non solo la Campania dunque, il problema è nazionale e fin quando la politica andrà a braccetto con questi industriali della morte, che in un modo o nell’altro non disdegnano di ringraziare gli amici, le alternative ecologiche in materia di rifiuti non attecchiranno mai nella mente della maggior parte delle persone, colpevoli dal canto loro di troppa indifferenza. Un barlume di luce in fondo al tunnel sembra intravedersi, perché i comitati sparsi per lo stivale, stanno maturando l’idea di esportare fuori regione problematiche che in fin dei conti sono comuni a tutti. I tempi sono ormai maturi affinché la rivendicazione del diritto di vivere possa esplodere a livello nazionale, estromettendo la politica da un affare che sembra essere riservato a pochi, ma che ne uccide molti di più.
“Non ci vuol niente a distruggere la bellezza”. Lo disse Peppino Impastato. Oggi, giorno in cui ricade l’anniversario della sua tragica e meschina uccisione da parte della Mafia, il nove Maggio del settantotto, le sue parole assumono un tono di attualità quasi disarmante. Peppino ed altri come lui hanno pagato un prezzo altissimo, ma vive forte la speranza che i semi da loro piantati facciano crescere arbusti sani e forti, capaci di contrastare i progetti di morte che con la gente comune non hanno niente a che fare.
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