Corsi e ricorsi storici. In questo periodo il comune di Quarto, cittadina flegrea di circa quarantamila anime, è nuovamente nell’occhio del ciclone. Lo scorso inverno i cittadini sono stati coinvolti nel grande incubo della discarica in via Spinelli. Mesi di proteste, angosce, mobilitazioni e la marcia dei diecimila. Poi la smentita da parte della Provincia di Napoli, la campagna elettorale ed un subdolo rinvio a “giorni migliori”.
Nel frattempo trascorre il tempo, si cercano soluzioni (o forse no) ed a distanza di un anno si ritorna alla carica ed è così che l’incubo discarica si materializza nuovamente sulle teste dei Quartesi e non solo. Stavolta si cambia scenario, non più una cava abbandonata lontana dalla città, che nell’illogicità di tutta questa “storiaccia” avrebbe anche un senso, bensì un polmone verde ai limiti del territorio comunale, a ridosso della via Campana. Una terra ricca di storia, mito e natura, quella del Castagnaro, che per sua sfortuna dalla floridezza del passato è stata ereditata dagli uomini moderni, che invece di valorizzarla, arricchirla e restituirla alla comunità, le danno il colpo di grazia, tentando di piazzarci al centro una bella discarica.
Cambiano alcuni dei protagonisti rispetto alla vicenda dello scorso anno, ma il risultato no, quello non cambia. Adesso è il turno del Commissario Vardè, ennesimo agnello sacrificale, messo a disposizione dei cittadini per essere immolato nel nome del bene supremo, liberare Napoli e la sua provincia dal pericolo di nuove emergenze.
Cambia il commissario ma non cambiano le modalità, si salta di cava in cava, spesso senza pensare a quello che c’è intorno. Non importa che vicino ci vivano delle persone o che esistano vincoli paesistici e naturalistici, bisogna intervenire con le buone o con le cattive.
A Quarto i cittadini memori della prima grande ondata di proteste dello scorso anno, non ci stanno. Parte della classe politica si è schierata dalla parte della gente, per primo il sindaco Giarrusso, esponente politico dello stesso partito che detiene la poltrona in Provincia, accesa sostenitrice dell’idea “riempiamo quanti più buchi è possibile”. Un’idea che a Napoli si sente da più di un decennio e che ha già dato in passato tanto malessere e soprattutto tanti malanni. Terzigno, Acerra, Taverna del Re, Boscoreale, Quarto, solo per citare i casi più eclatanti sono solo alcune delle tappe di una malattia che a turno tenta di colpire i territori che circondano Napoli. Un lungo braccio di ferro tra Istituzioni e cittadini, che ha alternato negli anni momenti di dibattito a momenti di guerra vera e propria, con le forze dell’ordine costrette ad eseguire ordini folli frutto di chissà quali maledetti interessi e fronteggiare cittadini che non chiedevano altro che si evitasse di avvelenare una terra e di conseguenza il futuro dei propri figli. Spesso però, le istituzioni sembrano sorde ai lamenti del popolo. Spesso le istituzioni non sembrano essere al servizio del cittadino, ma al servizio di altri. Al servizio di interessi economici che affondano le loro radici nella malavita organizzata e nella politica del malaffare. Un binomio che da troppi anni sta lentamente ammazzando Napoli e la sua provincia.
Succede allora che le persone iniziano a cercare da soli le soluzioni che altri non sono in grado di trovare. Nascono aresidi ambientalisti, movimenti cittadini, si studia, si cerca di capire ed alla fine si scopre che esistono soluzioni diverse, che in altri luoghi riescono per giunta a mettere in pratica. Luoghi in cui istituzioni e cittadini collaborano insieme, impegnandosi allo stesso modo per far si che tutto il meccanismo del sistema dei rifiuti funzioni senza problemi. E allora viene naturale far presente “ai politici” che esistono altri modi e che magari varrebbe la pena di provare, prima di sancire l’avvelenamento di una terra. Loro però non ascoltano, o meglio fanno finta e continuano a proporre sempre le stesse soluzioni, fatte di discariche ingoia rifiuti ed ecomostri chiamati termovalorizzatori. Napoli e la sua Provincia hanno già pagato prezzi altissimi, subendo per più di quindici anni il folle gioco dell’emergenza rifiuti, che le inchieste della magistratura hanno spesso dimostrato esser creata ad hoc per far muovere un po’ di denaro ed arricchire qualche amico della politica.
Il Castagnaro. Si tratta di un polmone verde che ufficialmente ricade nel territorio del comune di Pozzuoli, dal quale dista una decina di chilometri, ma che di fatto è nella piana del comune di Quarto. A ridosso della “Montagna Spaccata”, mirabile opera ingegneristica frutto del genio degli antichi romani, che da qui fecero passare una delle strade che collegavano la costa puteolana con l’entroterra di Capua, la via Puteolis Capuam appunto, che dopo prenderà il nome di Via Campana. Proprio qui sul Castagnaro, dove la storia si manifesta anche attraverso la presenza di strutture archeologiche sparse qua e la, si è deciso di riempire una cava abbandonata (in cui qualcuno mormora che già negli anni Ottanta furono sversati rifiuti), senza tener minimamente conto dell’impatto ambientale della futura discarica, senza pensare alla falda acquifera sottostante, che andrebbe ad assorbire i liquami che la discarica sicuramente produrrà, viste le devastazioni fatte dalle altre discariche aperte in questi anni dai vari commissari straordinari, primo fa tutti quel Bertolaso, che tanti danni in queste zone ha provocato.
Nè a Quarto nè altrove. Questo il motto della protesta, perché in fondo di questo si tratta. Non basta eliminare il pericolo discarica dalla cittadina flegrea, la questione è generale ed investe intere comunità cittadine in tutta la provincia di Napoli. Non è sufficiente spostare il sito della discarica da un comune all’altro, seguendo la logica del ”meglio ad altri che a me”, questo a Quarto non lo vogliono. I portavoce del comitato a questo ricatto non ci stanno e portano avanti proposte diverse, in accordo con altre realtà in lotta nei vari territori che in passato hanno subito danni, violenze (anche dalle forze dell’ordine) e soprusi. La gente è stanca di subire la prepotenza delle istituzioni totalmente incapaci di ascoltare le proposte che partono dal basso, da chi vive quotidianamente il problema sulla propria pelle e non se ne sta rintanata in uffici polverosi, incollato sulla propria poltrona, aspettando che a fine mese arrivi lo stipendio.
Non importa se si dovrà lottare, perché il bene supremo è più grande, perché la salvaguardia di un territorio che potrebbe essere riqualificato ed utilizzato in maniera diversa, come bene comune per una collettività intera, va oltre qualsiasi tipo di interesse economico. Questo a Quarto lo hanno capito già da tempo, peccato che chi debba decidere non sia in grado di comprenderlo ancora.