Tutto tirato a lucido e lustrato per il giorno della grande ripartenza, lo stabilimento Fiat “Giambattista Vico” di Pomigliano d’Arco ha spalancato ieri i cancelli all’importante delegazione di vertici Fiat e ministri venuti in visita per la presentazione della Nuova Panda, la citycar cui è affidato il rilancio del marchio, le speranze di rinascita della fabbrica e di rivitalizzazione del mercato, nonché di un futuro lavorativo più roseo per i dipendenti, che li liberi dalla spada di Damocle della cassa integrazione.
Un’innesto di fiducia e di ottimismo, uno scatto di orgoglio rampante e la chiamata alla sfida nelle parole del presidente John Elkann, che ha aperto la conferenza stampa: “Oggi è un giorno di festa, il nostro futuro è fatto di prodotti. Abbiamo successo e vogliamo continuare ad averlo. La Panda è un esempio concreto di questo. Qui investiamo 800 milioni di euro, è un segno concreto che l’unico modo per fare investimenti nelle auto è avere le condizioni di competitività”.
Ma le cronache di ieri raccontano anche delle note dissonanti con la festa e la pubblicità fuori dallo stabilimento, delle voci di protesta di altri lavoratori e di altri politici. Pomigliano ieri aveva davvero due facce: dentro, gli operai della catena di montaggio anch’essi tutti in tiro nelle tute immacolate e scelti tra i più giovani e sorridenti per fare da ali laterali al passaggio di Marchionne ed Elkann che sfilano tra i due cordoni di uomini plaudenti; fuori, le proteste e la rabbia degli scettici, di coloro che denunciano la farsa-menzogna ricordando che per 500 che dentro festeggiano, altri 4200 stanno a casa in cassa integrazione, mentre quelli iscritti alla Fiom denunciano di essere discriminati dall’azienda e ancora puntano il dito sulla chiusura dello stabilimento di Termini Imerese e sulla questione Irisbus.
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Così come ai politici intervenuti alla “festa”, i ministri Passera e Fornero, giunti in elicottero ed accompagnati in una Panda azzurra dai vertici Fiat nello stabilimento, si oppone la nota dolente del sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, che ha denunciato invece il suo lutto per il mondo del lavoro e per la democrazia: per lui, infatti, “si celebra la fine del Contratto collettivo nazionale e la fine della rappresentanza sindacale. Il modello contrattuale di Pomigliano, quello che comprime i diritti e pone il più grande sindacato metalmeccanico (Fiom) fuori dalle fabbriche, da ieri è stato esteso a tutti gli stabilimenti del gruppo Fiat e farà scuola anche dal punto di vista generale, cercando di essere imposto erga omnes a tutto il mondo dell’occupazione.
Si offende la storia del Novecento, le battaglie delle lavoratrici e dei lavoratori per il riconoscimento dei loro diritti, per celebrare il ritorno ad un Ottocento schiavista[…] Continuano a mancare garanzie occupazionali certe da parte dell’azienda in merito al reale numero degli assunti, anche perchè continuano ad essere denunciate pratiche discriminatorie e repressive verso le lavoratrici e i lavoratori che appartengono ad “alcuni” sindacati. Non ci sarò per coerenza politica, visto che nei giorni “caldi” del referendum-estorsione mi sono schierato al fianco dei lavoratori e delle lavoratrici in lotta, che non volevano cedere al ricatto imposto dalla Fiat con quella finta consultazione: la scelta tra disoccupazione e lavoro in cambio dell’autorinuncia ai propri diritti.
Una battaglia che comunque, anche allora, non si tradusse mai nella critica verso quanti, comprensibilmente, votarono l’intesa temendo di essere mandati a casa. Ma oggi si deve essere responsabili, anche rispetto alle generazioni future, e denunciare chiaramente l’epocale svolta che si sta realizzando. La morte della democrazia nelle fabbriche e in tutti i posti di lavoro. E quando la democrazia muore nelle fabbriche, cioè nel mondo del lavoro, muore anche nel paese. E questo non può essere celebrato, questo non può essere consentito”.