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Le testimonianze di due presidi ad Afragola e Caivano

La realtà quotidiana che circonda il nostro vivere non è splendente. Ancora oggi, in un secolo tecnologico e all’avanguardia, il problema dell’ educazione è all’ordine del giorno qui a Napoli. Si parla in modo particolare di quei quartieri dove la vita di tutti è appesa ad un filo, dove madri e padri, allo stretto contatto con la camorra, pensano solo al sostentamento materiale della propria famiglia e non certamente all’educazione dei figli. In questi quartieri non sembra vincere nemmeno il principio della scuola dell’obbligo. Esempi di tale situazione sono stati testimoniati da due donne preside: Giovanna Mugione, preside della Scuola Europa Unita del rione Salicelle ad Afragola ed Eugenia Carfora, preside della scuola media Raffaele Viviani a Caivano. Parliamo di due scuole che combattono per resistere in quartieri molto difficili.

Al quartiere Salicelle la preside denuncia l’ assenza delle istituzioni locali. I ragazzi non hanno soldi per poter comprare il materiale scolastico; sono figli di persone costrette a vivere con 5 euro al giorno. Si tratta di famiglie lacerate da condizioni economiche e sociali che non permettono loro alcuna via d’uscita dal baratro della miseria. E questi sono i figli di una generazione senza speranza; bambini e adolescenti senza alcun controllo, continuamente assenti tra i banchi di scuola; bambini che hanno bisogno di affetto, che vanno capiti ed amati. E allo stesso tempo si combatte con genitori che non capiscono l’importanza di un’educazione vera e propria che non sia quella di strada. “Mi sto battendo per il tempo pieno perché qui serve come il pane. Solo che i conti non tornano: i tagli al personale ci stanno massacrando. Da sola, in questo territorio, non ce la posso fare”, ribadisce amareggiata la Mugione.

La media Raffaele Viviani, nel degrado del Parco verde di Caivano, ha invece il più alto indice di dispersione scolastica in tutta l’Italia, bel il 52 per cento; gli insegnanti sono pochissimi, 28 sono le cattedre scoperte e si conta un solo bidello e due collaboratori. “La scuola era in abbandono totale, nel cortile abbiamo trovato il tunnel della droga, pistole sotterrate nell’aiuola. L’ho ereditata, ho pulito con i ragazzi e 15 lavoratori socialmente utili. C’era un gruppo di docenti, tutti supplenti annuali o temporanei, mi sono ripresa spazi occupati, ho cercato di ripristinare ruoli, compiti e funzioni. Era la scuola di nessuno. Abbandoni e ritiri. C’era bisogno del tempo prolungato ma da qui i professori scappavano.” Sono queste le parole della preside Eugenia, la quale è subentrata al Viviani nel 2007.

Da allora numerose sono state le sue battaglie per ribadire il diritto allo studio; battaglie contro genitori che si presentano con la “mazza in mano”, che temono che la preside voglia togliere loro l’unica ragione della loro vita: i figli. “Ai genitori ho detto ai vostri figli intendo dare una chance. Bisogna essere attrezzati per venire qua, non si può timbrare il cartellino. Ci vuole il meglio. I miei ragazzi mi scrivono: aiutami, non voglio morire.” Sono testimonianze crude, che ci fanno riflettere sul mondo che ci circonda, di problemi sociali che non ci sono estranei. Sono queste le testimonianze che allo stesso tempo ci fanno comprendere come doloroso e faticoso sia il lavoro degli insegnanti, i quali vanno ammirati; sono persone che, probabilmente, stanno mettendo in pratica un’affermazione di Gramsci: “il pessimismo della ragione, l’ottimismo della realtà.”

Maria Di Maro

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