Sono rimasti top secret per qualche giorno, ma ora iniziano a venire alla luce i nomi degli imprenditori coinvolti nel maxi sequestro messo a segno mercoledì scorso dalla Guardia di finanza, in un’operazione che ha coinvolto i grandi evasori di Napoli. Trentuno milioni di euro in beni sequestrati dagli agenti delle Fiamme Gialle grazie alla modalità del sequestro per equivalente che scatta quando un imprenditore non paga le tasse (in questo caso l’Iva o i contributi ai dipendenti) ma ha un patrimonio personale sufficiente a far fronte alla spesa: lo Stato si prende i beni di proprietà dell’imprenditore fino a quando questi non si mette in regola con i pagamenti, dovendo fare i conti anche con una sanzione piuttosto salata.
Nomi conosciuti nel mondo dell’imprenditoria e del commercio napoletano quelli sui quali si è abbattuta l’operazione della Guardia di Finanza: tra di loro c’è Barbaro, la griffe di moda presente nella galleria Umberto I. La villa a Salina di Alfredo Barbaro è, infatti, ora nelle mani dello Stato: le quindici stanze per il momento non sono più di sua proprietà ma sotto il controllo dello Stato.
Barbaro non è solo: tra i personaggi colpiti dal “sequestro equivalente” c’è anche Mario Maione, imprenditore che ha al suo attivo (forse sarebbe meglio dire passivo) il fallimento del pastificio Russo di Cicciano, del Napoli Basket e di una società finanziaria. Era sua la villa a Capri con vista sui Faraglioni che aveva scatenato la curiosità di curiosi e giornalisti, facendo partire qualcosa di simile ad una “caccia al proprietario”. Sua la villa di via Tragara così come sua quella in via Capo a Sorrento: su di loro pende ora la spada di Damocle della confisca.
Ci sono poi i nomi di Salvatore Genovese, proprietario del marchio di abbigliamento Kevin, cui è stata posta sotto sequestro la casa di via Petrarca; e ancora Rosario Colella, dei cantieri Manòmarine e gli imprenditori dei trasporti Salvatore Pinna e Rosaria Lofaro oltre al costruttore Eduardo Barretta. In totale un sequestro equivalente per circa 31 milioni di euro: quelli che lo Stato avrebbe dovuto ricevere dagli imprenditori, tutti ora indagati per evasione sul fronte Iva e su quello dei contributi.