Dopo l’annuncio del primo cittadino di voler costruire una moschea a Napoli, da più parti si sono levate proteste d’ogni tipo. “La facciano a Posillipo o al Vomero, non in periferia”, oppure “Le scuole cadono a pezzi e invece di rimediare si pensa a costruire una moschea per gli stranieri”: questi sono solo alcuni dei numerosi commenti lasciati da chi, apprendendo la notizia dai giornali, non ha resistito a rivelare la propria impronta di pensiero.
Andando molto più per il sottile, si potrebbe dire che proprio questi commenti sono un po’ il frutto dello xenofobismo dilagante negli ultimi anni, soprattutto a partire dalla data fatidica dell’11 settembre 2001, che ha sancito inevitabilmente e quasi in maniera imprescindibile il binomio musulmano = terrorista. Naturalmente una reazione dettata dalla ‘paura del diverso’ è il mezzo ideale per rompere ogni tipo di armonia gestibile fra due culture profondamente diverse ma che, fondamentalmente, ci rende uomini allo stesso identico modo.
La preoccupazione maggiore, almeno per chi muove i fili della comunità, dovrebbe essere non tanto quella di costruire luoghi di culto, quando di raccordare situazioni già pericolanti e che, nel tempo, potrebbero condurre, ancora una volta, a niente di buono. E’ il caso delle fratture esistenti fra le tre diverse comunità islamiche presenti in città: Zayd Idu Thabit, Ucoii – Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia ed una terza associazione, costituita prettamente da Pakistani e Bengalesi. Tutte e tre lottano ogni giorno per la propria supremazia sul territorio e gli scontri, si sa, spesso sono inevitabili.
Altro problema importante è quello della presenza di una rete salafita, che opera sia in città che nei comuni vesuviani e che ha collegamenti tentacolari anche con il resto dell’Italia nonché a livello internazionale. In questa situazione, quindi, non è impensabile che si creino situazioni non propriamente legali, come quando nel 2008 l’operazione Full Moon, realizzata dai Carabinieri del Ros, terminò con l’arresto di tre algerini condannati dalla Corte d’Appello per reato di associazione a delinquere con finalità di terrorismo, scoperti grazie ad un giro di documenti falsi utili agli stranieri per circolare liberamente in Europa. Oppure come nel caso del novembre scorso quando vennero arrestate 11 persone, fra i quali due napoletani, con l’accusa di essere legati ad ambienti vicini ad Al Qaeda.
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