L’ARRESTO DI PAROLISI – Il gip Carlo Calvaresi, dopo aver studiato i particolari del caso, ha notificato l’ordine di arresto di Salvatore Parolisi, accusato di omicidio volontario aggravato della moglie 29enne Melania Rea. Al gip, infatti, la Procura di Ascoli Piceno aveva fatto pervenire gli atti dell’indagine e richiesto contestualmente la misura cautelare di carcerazione per il vedovo, ritenendo che, dopo le conclusioni sull’autopsia cui è pervenuto il medico legale, prof. Adriano Tagliabracci, il quadro indiziario contro Parolisi fosse abbastanza definito. Così ha ritenuto anche il gip, accogliendo la richiesta della Procura, e stamattina il caporalmaggiore dell’esercito è stato prelevato dalla caserma Clementi di Ascoli, dove nel frattempo da ieri era rientrato a lavoro.
Un carico pesante di indizi, ritenuti comunque sufficienti, e il pericolo di inquinamento delle prove – probabilmente più che il pericolo di fuga o di reiterazione del reato – hanno accorciato i tempi e portato alla “fine di un incubo”: almeno così spera Michele Rea, il fratello di Melania, che solo tre mesi fa esprimeva a nome suo e dell’intera famiglia la piena fiducia nei confronti del cognato “fino a prova contraria”.
IL QUADRO INDIZIARIO – Quella prova schiacciante probabilmente manca, ma ogni bugia, ogni reticenza, omissione, ripensamento e successiva ammissione tardiva, ogni buco e controsenso logico in una ricostruzione che fa acqua da tutte le parti avevano già trasformato Parolisi da vedovo inconsolabile a teste troppo poco credibile per non sospettare che c’entrasse qualcosa.
Lui e i suoi continui adulterii negati, poi ob torto collo ammessi perché proprio non poteva fare diversamente di fronte alle amanti-soldatesse del 235° Rav Piceno (di cui è istruttore), che invece agli investigatori hanno raccontato da subito la verità; lui che telefona a Ludovica – l’amante storica, contattata anche da Melania in un tentativo estremo di salvare il suo matrimonio – da una cabina telefonica, prudentemente, e le raccomanda di non parlare da ambienti chiusi, avvisandola così sul rischio che i loro colloqui fossero spiati ed esortandola a fidarsi di lui; lui che distrugge la scheda sim e fa sparire il cellulare riservati a Ludovica, che si affretta a cancellare tutte le conversazioni su Facebook e pure l’account che utilizzava per le relazioni extra-coniugali; lui che si reca in caserma e in un soliloquio ad alta voce, registrato in un’intercettazione ambientale, prima dell’interrogatorio esorta se stesso: “Non ti fare fottere, non ti fare fottere”; lui che nessuno l’ha visto quel 18 aprile in compagnia della moglie e della piccola Vittoria nel parco di Colle San Marco, dove dice di essere stato con la famiglia per il pic-nic di Pasquetta e da dove afferma si sarebbe allontanata, per recarsi al bagno del vicino ristorante “Il Cacciatore” (distante un centinaio di metri), la moglie, ritrovata cadavere due giorni dopo, a circa 15 km. di distanza, nel bosco delle Casermette a Ripe di Civitella (Teramo), luogo anche dell’uccisione con oltre trenta coltellate; lui che si preoccupa di chiamare i carabinieri e dare l’allarme della scomparsa solo alle 15:30, dopo quasi un’ora dall’allontanamento, da lui fissato intorno alle 14:30-35.
Infine i risultati dell’autopsia sul corpo di Melania e quelli dei Ris sull’auto di Salvatore aggravano la sua posizione giuridica: da persona ascoltata in quanto informata sui fatti a indagato a piede libero e infine a presunto omicida, arrestato. Non più solo marito fedifrago, bugiardo solo per coprire le infedeltà, ma uxoricida. Uno dei peggiori, se risultasse esatto il quadro circostanziale in cui Melania è stata uccisa: raccapricciante, abominevole, da gogna più che da ergastolo.
GLI ULTIMI ISTANTI DI VITA DI MELANIA – Con gli slip e i pantaloni abbassati mentre era ancora accovacciata dopo aver fatto la pipì, aggredita alle spalle, con un primo fendente alla gola nel tentativo di sgozzarla, poi altre coltellate alle spalle, mentre tentava di fuggire prima di cadere e morire lentamente, dissanguata, lì dove l’hanno trovata. In quegli istanti la piccola Vittoria dormiva in auto. E altri colpi ancora – questa volta inferti con un punteruolo e anche da un’altra mano, un complice – Melania li avrebbe ricevuti addirittura post-mortem, probabilmente poco prima del suo ritrovamento e probabilmente finalizzati a depistare le indagini, così come la siringa conficcata sul seno sinistro e la svastica incisa sulla coscia.
Uccisa da qualcuno di cui si fidava: unghie e trucco intatti indicano che non sia stata rapita, trascinata, che non abbia colluttato nè pianto. Il tutto sarebbe avvenuto tra le 14:30 e le 15:30, momento in cui Parolisi compare in colle San Marco con Vittoria e senza Melania. Il Dna di Parolisi rinvenuto nella bocca di Melania risalirebbe secondo l’accusa ad un bacio-suggello nel momento fatale, oppure alla mano dell’uomo per impedirle di urlare: se non fosse stato il riscontro dell’ultimissimo contatto tra i due, i naturali movimenti della lingua ne avrebbero cancellato ogni traccia. Macchioline di sangue (non è dato ancora sapere se di Melania) nell’auto di Salvatore sarebbero state ripulite.
IL MOVENTE – Omicidio volontario pluriaggravato dal vincolo di parentela e crudeltà e vilipendio di cadavere in eventuale concorso con altri, le accuse. Il movente: Ludovica, la loro relazione, continuata e non breve, ancora in corso e non terminata come aveva invece dichiarato lui, la pressione esercitata dalla sua ex-allieva perché lasciasse Melania, la promessa fattale di recarsi a Roma a conoscere i genitori di lei.
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