Lo spettacolo incarna volutamente una festa di paese, con una vera e propria banda a sottolineare tutte le varie sfaccettature dei testi, accompagnando le canzoni che si susseguono e che fanno parte di un passato popolare e troppo spesso dimenticato, un passato dove si confondono varie tradizioni e varie lingue, dal rumeno all’yiddish, dal greco al macedone, in un sussiego di interazione con il pubblico che vive e partecipa con la musica al proprio personale ricordo musicale.
Un modo diverso di concepire il musical, più essenziale e più diretto, volto a riprendere un contesto antico e a riportarlo in auge, accompagnando la storia di Cosimina con la passione della tradizione mediterranea e non, con la forza del canto e con la persistenza della memoria che riporta anche qualche vago accenno proustiano.
Cosimina in questo spettacolo è bambina e donna, vedova mancata e “Sposa del Signore” al momento della sua morte, accompagnata perennemente dal carretto dei musicanti che è ora testa della processione del patrono, ora carro funebre per la protagonista, ora rimessa alla buona degli strumenti. Ma su tutto sorge e si propaga l’attesa di quel fuoco d’artificio, così vicino al cielo, indissolubile connubio di speranza e di arte, una luce che segna un evento importante, ma che è anche strettamente legato alla vita che, proprio come un fuoco d’artificio, dopo aver brillato in tutto il suo splendore, abbandona il cielo per divenire buio.
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