Come era prevedibile dopo la diffusione delle notizie relative ai reati contestati dalla Direzione Distrettuale Antimafia alla società che gestisce la discarica di Chiaiano, i cittadini del quartiere e quelli del limitrofo comune di Marano sono scesi di nuovo in strada per bloccare, nella notte appena trascorsa, i camion diretti allo sversatoio. Una cinquantina di persone hanno impedito pacificamente fino alle quattro del mattino il conferimento dei rifiuti, poi ripreso regolarmente.
Ad esasperare la popolazione i dettagli inquietanti che emergono dall’inchiesta: oltre al sospetto di ingerenze camorristiche -si parla di vicinanza al clan Zagaria dei Casalesi e ai Mallardo di Giugliano- nella gara d’appalto vinta dalla società Ibi, gestore dell’impianto, e nell’assegnazione del subappalto alla ditta EdilCar, fornitrice dell’argilla utilizzata per inertizzare i rifiuti, e di attività illecite tra estrazioni abusive del materiale, gestione di una discarica abusiva a Giugliano, falsificazioni di registri e frode in pubbliche forniture, quello che preoccupa maggiormente i residenti è il reato di violazione delle norme ambientali. Tradotto in termini di salute pubblica: rischio di avvelenamento a causa del percolato infiltratosi nel sottosuolo e che potrebbe raggiungere la falda acquifera. L’utilizzo di argilla scadente per la copertura dei rifiuti, infatti, ha provocato le infiltrazioni e la permeabilità naturale del suolo farà il resto.
Mentre da più voci ci si indigna contro lo Stato assente che non tutela i cittadini e, anzi, garantisce sulla sicurezza del sito, poi di fatto rivelatasi un grande bluff, e contro la magistratura che, nonostante la gravità della situazione, non ha disposto il sequestro del sito e la sua chiusura anticipata (la fine del conferimento in discarica è procrastinata ogni mese al mese successivo: aprile, maggio, forse chissà, giugno), è invece opportuno ricordare il nome di qualcuno che subito, fin dall’inizio, aveva denunciato la rischiosità del sito e che oggi potrebbe a ragione tuonare: “Ve l’avevo detto io…!” E’ il prof. Franco Ortolani, ordinario di geologia, direttore del Dipartimento di Pianificazione e Scienza del Territorio della Università di Napoli Federico II, che in una nota relazione preliminare consegnata ad aprile del 2008 al Presidente della Commissione Ambiente del Comune di Napoli scriveva riguardo all’inquinamento delle falde acquifere: “La quasi totalità delle cave campane sono ubicate in ammassi rocciosi permeabili… che nel sottosuolo ospitano le falde idriche che alimentano i vari usi (potabile, industriale, agricolo)… Non è possibile garantire l’impermeabilizzazione alla base dei rifiuti… Il loro riempimento con materiale inquinante rappresenta una garanzia di inquinamento per le acque sotterranee… I cittadini erediteranno falde in gran parte inutilizzabili perché inquinate dai rifiuti… un grave pericolo per la salute…”
E concludeva: “La tutela efficace a scala pluridecennale della falda del sottosuolo non può essere garantita da alcun intervento. Il colmamento della depressione con decine di metri di rifiuti non consentirebbe alcun intervento di manutenzione per verificare l’integrità della struttura isolante alla base dei rifiuti stessi su un periodo pluridecennale. L’efficacia dei materiali usati per realizzare l’isolamento non può essere garantita per un periodo pluridecennale. La durata dei materiali usati viene valutata di solito senza tenere conto che tali materiali verrebbero a contatto con percolato aggressivo e di natura non prevedibile come non è prevedibile la reale qualità dei rifiuti che sarebbero accumulati nella discarica. In conclusione, quindi, già sulla base delle caratteristiche geoambientali si evidenzia che la discarica non è realizzabile in sicurezza nella cava a fossa attualmente adibita a poligono di tiro.”
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