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L’ ultimo saluto della città ad Augusto Muojo: giornalista poeta e conduttore

Giornalista, scrittore ed editorialista di Repubblica, Augusto Muojo si è spento all’età di settant’ anni all’ ospedale Cardarelli, malato da lungo tempo, lascia la moglie Sonia e le figlie Solange e Francesca.
La sua carriera, iniziò a soli 23 anni, con il quotidiano “Il Tempo“, per poi passare alla redazione del giornale piu’ antico del Mezzogiorno: “Il Roma“, dove ricoprì il ruolo di capocronista. La sua carriera continuò nella sede Rai di Napoli, dove arrivò nell’81, lavorò Al Tg regione della Campania dove fu viceredattore capo e conduttore. Per il Tg1 e Tg2 curò invece i servizi da Napoli e dalla Campania.

Muojo a soli cinquantotto anni, a dicembre del novantotto, decise di andare in pensione per dedicarsi interamente alla poesia e alla narrativa, la sua mano, infatti, generò due libri di poesia ed uno di narrativa che furono molto apprezzati dalla critica:  “A ritroso” e “Stagioni smarrite” per la poesia, ed “Il Papa nero” per la narrativa.

Augusto Muojo, amato e stimato dai colleghi per la sua serietà e sobrietà era stato presidente della Unione regionale stampa cattolica e vicepresidente con l’incarico di tesoriere della Emeroteca-Biblioteca Tucci.

I colleghi e tanti napoletani salutano l’ uomo, stimato da tutti, ed il giornalista- poeta, binomio raro da trovare in redazione per la naturale opposizione di ruoli,  ma soprattutto un volto che ricorderanno sempre per la qualità dei servizi e del suo lavoro al Tg. L’aggravarsi della sua malattia, gli impedì purtroppo di dare in stampa un terzo libro di poesie e il suo primo romanzo, ma il mondo artistico lo ricorderà sempre così, con il suo amore per l’arte “scritta” , che resta oggi come ricordo indelebile di un uomo di raro talento e grande spessore culturale.

Dario Aloja

Nato a Napoli, nel 1982, nel quartiere "Arenella", a metà strada tra il centro storico e la moderna zona collinare, Dario Aloja vive, da subito, le forti contraddizioni di una città divisa tra le nostalgie di un passato di capitale europea e un presente di metropoli labirintica, che ingoia sogni e speranze delle nuove generazioni. Come tanti giovani del terzo millennio, Dario avverte l'abisso che divide l'odierno modello capitalistico, che mondializza i totem tecnologici di una società alienante e disumanizzante, e le ragioni del cuore, il bisogno di gridare al mondo le esperienze del proprio vissuto, le emozioni dell'incontro con "l'altra metà del cielo". E questo magma incandescente di pulsioni, stati d'animo, sentimenti, affiora in superficie, diventa sfogo lirico, si fa "Pelle Libera".

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