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Il saluto della città a Franco Scandone, figlio della “buona stampa” napoletana

Franco Scandone, giornalista gentile, veterano della “buona stampa” napoletana, arricchì per anni  le pagine di quotidiani come Il Roma ed Il Mattino dove concluse la sua carriera. Uomo di profonda disciplina e umanità, fu protagonista originale, soprattutto nel campo sportivo. Lascia la città e i suoi lettori a settantotto anni, oltre alla moglie Anna Maria e tre figli, Fabio, Lorena e Flavio. A Fabio spetta il difficile compito di continuare la storia degli Scandone, dopo aver salutato per l’ ultima volta suo padre alle ore 12, nella chiesa di Santa Caterina a Chiaia.

La sua famiglia, originaria di Montella, ereditò dal nonno Francesco l’amore per la ricerca severa, la scrittura nitida, il sentimento della fede. Il padre Felice, invece, gli trasmise la passione per lo sport, infatti, inventò con Michele Buonanno la prima radiocronaca di calcio all’ ombra del Vesuvio. Nel 1929, narrò dai balconi della redazione del Mezzogiorno Sportivo in piazza San Ferdinando a Milano, in precario collegamento telefonico con l’ inviato, lo spareggio per la seria A tra il Napoli e la Lazio. Il padre Felice, inoltre,  spiegò ai partenopei ed al mondo intero il perché del cambiamento di simbolo del Napoli, che passò da cavallo a ciuccio. Morì nel 1940 ancora giovane, da eroe di guerra, in un aereo abbattuto a Tobruk. La piscina olimpionica di Fuorigrotta, le squadre irpine ed un premio di narrativa sportiva, attualmente onorano la sua memoria.

Franco,  giovanissimo, crebbe senza padre, ma con una profonda vocazione per la notizia  impeccabile, infatti fu sempre attento a evitare ogni forzatura politica o di parte. Inventò la formula del numero del lunedì, una novità in campo nazionale, che presentò come inserto. La grande passione per il ciclismo, disciplina faticosa e seria, associata da sempre a forza d’ animo e carattere granitico, lo portò in breve tempo raccontare le corse per Antonio Ghirelli, che lo assunse a Torino a Tuttosport, nel settore guidato da Raul Radice. Esperienza cruciale ma breve, che durò meno di un anno a causa della sua nostalgia per la sua famiglia. Rientrato nella sua Napoli, trovò casa ospitale a Il Roma diretto da Alfredo Signoretti. Franco fu inviato d’ elite al Giro d’Italia, descrisse le leggere salite di Charlie Gaul con pezzi memorabili e collaborò al Giornale di Sicilia e al Gazzettino di Venezia. A Il Roma divenne capo della redazione sportiva e segretario di redazione.

La grande crisi che colpì “Il Roma”, nel 1979  lo costrinse a passare alla redazione del direttore Orazio Mazzoni a via Chiatamone.
A “Il Mattino” Non si occupò solo di sport ma di cronache dall’ interno, con una professionalità che tutti apprezzarono. Franco, uomo affabile e riservato, non alzava mai la voce, non ne aveva bisogno per affermare le proprie ragioni. I colleghi lo ricordano così, con gli occhiali sempre sulla fronte e qualche foglio fra le mani. Accettò di buon grado il lavoro di “cucina” del giornale, così di tanto in  tanto stupiva tutti, ritagliandosi lo spazio di qualche articolo terso e ben informato, come ad esempio sul nuovo naufragio, duemila anni dopo, della barca di Ercolano.

Profondo conoscitore dei segreti del Vaticano, scrisse e tanto su questo argomento, anche se cattolico con un profondo senso della laicità. Scandone restò estraneo alle battaglie fra le correnti, pur partecipando alle scelte sindacali della categoria da presidente di seggio alle elezioni.Venne eletto, nel duemilasette, fra i probiviri dell’ Assostampa napoletana, che oggi consegna all’ intero popolo partenopeo l’ immagine di uomo dolce e professionale, intelligente e critico, ma mai eccessivo. Ci lascia il professionista, con una lezione che pochi dimenticheranno sull’ etica del lavoro, una capacità che i suoi colleghi amarono profondamente, ci lascia l’ uomo, con le sue grandi doti e qualità, come la dolcezza e la sua capacità d’ affermarsi in ogni momento con la pacatezza e la semplicità di un grande comunicatore.

Dario Aloja

Nato a Napoli, nel 1982, nel quartiere "Arenella", a metà strada tra il centro storico e la moderna zona collinare, Dario Aloja vive, da subito, le forti contraddizioni di una città divisa tra le nostalgie di un passato di capitale europea e un presente di metropoli labirintica, che ingoia sogni e speranze delle nuove generazioni. Come tanti giovani del terzo millennio, Dario avverte l'abisso che divide l'odierno modello capitalistico, che mondializza i totem tecnologici di una società alienante e disumanizzante, e le ragioni del cuore, il bisogno di gridare al mondo le esperienze del proprio vissuto, le emozioni dell'incontro con "l'altra metà del cielo". E questo magma incandescente di pulsioni, stati d'animo, sentimenti, affiora in superficie, diventa sfogo lirico, si fa "Pelle Libera".

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