Il Lutammaro
Raccoglieva gli escrementi di animali sia per le strade che dalle stalle e li rivendeva come concime
Il Muzzunare
Raccoglitore e distributore di cicce di sigari e sigarette,ne ricavavano il tabacco che rivendevano per i più poveri.
Il Pettenessaro
Il Fabbricante di pettinesse o pettini
‘O Mastuggiorge:
il Castigamatti ossia il compito dell’infermiere degli ex manicomi (‘e Pazzarie) di sorvegliare i malati di mente, affinchè non provocassero danni a se stessi ed ad altri.
Il vocabolo deriverebbe da un noto Castigamatti del Seicento un certo Mastro Giorgio Cattaneo, che pretendeva di curare le persone fuori di senno picchiandoli con un bastone ( il Castigamatti)
‘O Latrenare
Meglio noto anche come ‘O Spuzzacesse o Spuzzalatrine.
Tale mestiere consisteva nel ripulire le latrine (ossia i pozzi neri relativi ai gabinetti utilizzati all’interno dei palazzi come luoghi di decenza e dove venivano riversati (‘e Cantare) i pitali delle varie famiglie dell’intero condominio.
‘O Capillò
era un ambulante, che percorrendo i vicoli al grido di “Capillò Capilloò, chi me chiamma?” comprava trecce e capelli specie lunghi di donna per poi rivenderli ai fabbricanti di parrucche e touppè:
Per svolgere la sua attività portava sempre con sé un paio di forbici da barbiere ben affilate, un sacco od una sporta (cesto di vimini) per riporvi qualche bella treccia d’oro, qualche bella coda di cavallo o una cascata di capelli corvini, tagliate a qualche bella popolana, in cambio di qualche danaro per sfamare sè stessa e la propria prole.
‘O Chiammmatore
era un antichissimo mestiere, che consisteva, specie in campagna, nel fattorie o nei cosiddetti casali a chiamare i compagni contadini al lavoro.
Tale incarico era ricompensato da pochi centesimi e rappresentava un surrogato della sveglia,
‘O Grammegnare
Il fornitore di gramigna
‘O Vrennajuole
Fornitore generalmente di crusca, carrube (Sciuscelle) di fieno ed orzo, ceci nonché faglioli, lenticchie e fave
‘O Guarattellare detto anche il Burattinaio
L’affittatore
cioè il noleggiatore di cavalcature
‘O Brigliare
chi fabbricava e vendeva briglie
‘O Ferracavalli
Ossia l’uomo che si occupava di ferrare i cavalli.
Per ferratura si intende l’applicazione di piastre o verghe metalliche (in particolare di ferro) agli zoccoli dei cavalli per proteggerli e conservarne in stato normale i piedi: anche la ferratura ben fatta, però, pone un ostacolo ai movimenti intrinseci del piede, causa questa anche di guai seri come l’atrofia dell’unghia. Nonostante questo, è di assoluta necessità, in quanto zoccoli non ferrati, male potrebbero reggere al consumo cui sono sottoposti nei vari servizi che l’uomo chiede all’animale.
O Favaiuolo
Di solito si sentiva passare con l’avvento della primavera periodo aprile maggio, è il venditore di fave fresche. Tirava da solo un carrettino imbadito di foglie e di fave e dava la voce” E FAVE FRESCHEEE mangiammece e fave co lardo”
‘O Ricuttaro
Oltre ad essere il venditore di ricotta.
I Nevaioli
Erano lavoratori addetti alla raccolta ed alla vendita della neve caduta durante l’inverno nei boschi della Falanga ai piedi del monte Epomeo. In caso di abbondante nevicata, il banditore suonava la tofa, una grossa conchiglia, per convocare i nevaioli che si radunavano al centro della frazione di Fontana (i Fontanesi erano infatti veri e propri maestri in questo mestiere) con indosso il costume tradizionale: calzoni a brache di velluto verde bottiglia, calze lunghe di bambagia, scarpe pesanti, giustacuore di panno color marrone, berretto di lana. Muniti di pale, cofani e bastoni, si recavano quindi nel bosco, dove, dopo aver acceso un falò con la legna raccolta nei rifugi scavati in massi di tufo, raccoglievano la neve e la grandine, le ammassavano e le pigiavano con bastoni all’interno di fosse scavate nel terreno; infine ricoprivano le buche con foglie secche di castagni, rami secchi e terra.
Nelle cavità la neve si conservava fino all’arrivo dell’estate, quando era venduta in cambio di pochi centesimi per fare gelati o per rinfrescare le bevande, in particolare il vino. Anche il prelievo e la vendita della neve durante i mesi estivi rispettavano un vero e proprio rituale: i nevaioli, che spesso erano ciucciari, prelevavano la neve dalle fosse e la portavano a dorso dei muli più veloci avvolta in panni dentro cofani di giunco foderati e coperti con foglie di castagno; giunti nei centri abitati dei diversi casali dell’isola, percorrevano le strade gridando «a neve, ‘neve, ‘u nevaiuolo».
Confezionatore di pacchi
Una figura originale era quella del confezionatore di pacchi. La sua bottega era piena di fogli di carta, cartoni e spaghi. Vi si rivolgevano, tra l’altro, le persone che volevano spedire un pacco ai parenti emigrati in America. Bisognava innanzitutto scegliere il contenitore adatto per evitare di pagare troppo: il contenuto era incartato con un foglio e legato con spaghi, il pacco era chiuso lungo i bordi con colla ottenuta mescolando farina e acqua bollente.
‘O Spaccaprete
svolgeva un lavoro molto umile e faticoso; seduto per terra e servendosi di un grosso martello spaccava ogni singolo masso di pietra fino a ridurlo a breccia minuta, la quale poi ,sarebbe servita a sistemare strade e viottoli. Il lavoro era monotono e le giornate per il povero spaccapietre passavano tutte nello stesso modo, mai un commento o uno scambio di parole, ma solo duro lavoro e tanta fatica.
‘O Mmasciatore
colui che girando per le vie del paese avvisava le persone su quanto era stato preventivamente predisposto dall’Amministrazione o su fatti che dovevano verificarsi.
A volte informava dell’arrivo di nuovi mercanti o della perdita di qualche oggetto ( per lo più di chiavi) da parte di paesani e invitava l’eventuale ritrovatore, a consegnarlo previa ricompensa consistente, di solito, in qualche prodotto dell’agricoltura.
‘O Munnatore ‘e pali
I pali ed i paluni, a secondo della loro altezza venivano usati principalmente per la costruzione di serre e pergolati.
La Lavorazione si faceva direttamente nei boschi, consisteva nello scortecciamento di questi pali, ovvero si munnavano e poi da un lato si appuntivano a colpi di roncola per facilitarne la sistemazione nel terreno.
‘O Scalpellino
Il duro mestiere dello scalpellino è una vera e propria arte, patrimonio dei nostri monti, di cui si possono ammirare numerosi esempi su architravi, pareti e caminetti di case e casòni. Per la loro costruzione si usavano i materiali che la natura offriva, senza ispirarsi a nessun tipo di architettura classica, ma basandosi solo sul tradizionale gusto. Tuttavia, pur nella semplicità delle strutture, si nota talvalta l’estro creativo dove la mano, guidata da chissà quali reminiscenze, ha tracciato fregi e disegni. Nelle vecchie cave locali, dove si scalpellava dieci ore al giorno, il lavoro iniziava alle sei, e se a causa della pioggia non si proseguiva almeno un quarto di giornata non si veniva pagati.
‘O Cordaro
Ossia il fabbricatore di corde.
La lavorazione aveva inizio con la filatura: il cordaio si legava intorno al bacino la matassa di fibre e ne metteva un ciuffo su una parte della grossa ruota (la girella), intanto un ragazzo azionava la ruota facendola muovere e il cordaio camminando all’indietro incominciava ad intrecciare il filo intorno ad un anello, ciò faceva iniziare la torsione del filo e così si consolidava la fibra di canapa che si trasformava in sottili corde. I fili venivano fatti scorrere su dei rastrelli conficcati a terra e tali fili venivano ulteriormente uniti per mezzo della torsione fino a formare un’ unica corda; le dimensioni delle corde erano differenti (dipendeva dal numero dei fili che venivano uniti). Una volta fatta la corda veniva lisciata con degli attrezzi (una maglia di ferro) e le corde più scure durante la notte venivano immerse nell’acqua con una sostanza a base di sodio, poi lucidate e spalmate con sapone molto grasso.
Le corde venivano vendute nel mondo contadino per molti usi: fruste, corde per il bestiame, per trainare i cavalli, si fabbricavano anche gli spaghi per usi di macelleria.
Ecco a voi una carrellata di richiami particolari di alcuni venditori:
Viene a lo fummo, ca so viscottine, viscottine.
(voce dei venditori di marroni infornati, nel significato, che sono caldissime e pari a biscottini tostati)
So melelle ste cerase, doje morze ll’une.
(per indicare la grossezza e la bellezza delle ciliegie)
A primma matina fredde fredde.
(voce dell’epoca dei fichi, perché nelle prime ore del giorno sono freddissimi)
Tenghe ‘e palle, ‘e palle p’allesse, tenghe ‘e palle.
(per indicare le castagne lessate, sono grosse al di là di quello che veramente sono)
Viene te scarfà lo ventre, guagliò.
(voce di quelli che vendono i piccoli pani caldi a prima mattina)
Te ll’aggio carrecate ‘e pepe, cetronata, cetronata.(altro modo di vendere i pani di granone imbottiti di uva passa e cotti al forno)
No sordo no terzo de mostacciuole, mostacciuole.
(si vendono così i fichi secchi cotti al forno ed infilzati a certe cannucce e si indica il peso esagerato di ogni pezzo di essi)
So nere nere e alappie a no sordo, a no rà, e a nove calle.
(le melogranate indicandone il colore cupo del rosso e la dolcezza, stabilendone il prezzo)