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Categories: Cultura

Le raffigurazioni del Vesuvio: Jappelli come Monet

Fra i dipinti che resero celebre Monet ve n’erano una cinquantina in particolari tutti ritraenti lo stesso soggetto: la cattedrale di Rouen, in Francia, dipinta in diversi momenti della giornata a seconda del clima e della luce. Ciò avveniva fra il 1892 ed il 1894.
Il padre dell’Impressionismo scriveva “Ogni giorno aggiungo e scopro qualcosa che prima non avevo saputo vedere, è difficile, ma non mi fermo. Sono a pezzi: la cattedrale mi precipitava addosso, sembrava blu, rosa o gialla”.
Oggi come allora la sua impresa viene ripetuta ma stavolta il soggetto immortalato è il Vesuvio: Andrea Jappelli fotografa «’a muntagna» per 10 anni, a ogni ora, con diverse variazioni di luce.
Jappelli come Monet dunque.

Ma chi è quest’artista?

architetto da cinquant’anni, nato a Napoli nel 1934. Ormai in pensione, dedito ai suoi hobby come la collezione di conchiglie, Jappelli ha fotografato per dieci anni il Vesuvio dalla sua casa di Posillipo ha raccolto gli scatti nel volume della Clean edizioni non a caso chiamato Una finestra sul Vesuvio.

Come avvenne per la cattedrale ovviamente anche il Vesuvio viene ritratto in versioni sempre diverse: arcana di notte, dorata all’alba, infuocata o corteggiata dai rosa e dal cobalto nel pomeriggio, trafitta da un raggio di sole quando il cielo è plumbeo una speranza di bel tempo rischiara all’orizzonte.
Il resto lo fa il mare sottostante, a tratti viola e color terra, strisciato in superficie da effetti di crepuscolo, affogato nell’arancio con quel puntino rosso del sole che rimanda ancora una volta a Monet, «Impressione sul sole nascente».

Japelli, sognatore ed amante dell’immagine, sembra voler condensare in questi suoi dipinti l’anima delle stagioni, la poesia di cui troviamo traccia fra un’immagine e l’altra nella forma dei versi di Libero Bovio «Comm’è bella ’ a muntagna stanotte, bella accussì nun l’aggio vista maje»), citazioni da Viviani, da Di Giacomo o da Eduardo che risultano persino esigue, se si pensa alla gran mole di scritti prodotti dai viaggiatori del Grand Tour che al vulcano dedicano ampie scalate e pensieri.

Elisa Pibiri

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