«Mi hanno licenziato in tronco, tramite lettera, e senza neppure i tre regolari mesi di preavviso: non ne hanno il diritto» questa è l’affermazione di Sergio Segalini, figura di primissimo piano nel settore della classica e del repertorio settecentesco in primis, voluto a Napoli da Riccardo Muti al vertice artistico del San Carlo, massimo lirico del Mezzogiorno, nominato lo scorso primo luglio assieme al nuovo direttore del Ballo, Alessandra Panzavolta, che oggi vede sparire la sua poltrona di consulente della Fondazione dopo neanche mezzo anno di lavoro.
«Ed è per questo — precisa Segalini — il teatro riceverà la lettera del mio avvocato a tutela della mia immagine».
Nella storia del San Carlo, intanto, il caso non ha precedenti: mai un direttore artistico, o consulente alla programmazione che dir si voglia, è durato meno. E, il tutto, ad un passo dall’inaugurazione della sua prima, nuova stagione con l’«Olimpiade» pergolesiana rielaborata da Roberto De Simone, oltre la quale Segalini aveva gettato un bel fascio di luce se non altro portando in locandina, a maggio, nella rara versione originale francese, i «Vespri siciliani» di Verdi.
Il direttore artistico è stato infatti licenziato repentinamente per non aver risposto al cellulare. Proprio così.
«Apparentemente un incidente, per mancata reperibilità del consulente nei giorni del rinvio a giugno del triplice concerto di Capodanno diretto da Daniel Oren» spiega Segalini. «Nel lasciare Napoli per trascorrere il Natale nella mia Venezia e giunto in aeroporto — spiega — , mi accorgo di non avere più il mio cellulare aziendale. Per un paio di giorni, durante i quali ho tra l’altro sporto denuncia per la perdita del telefono mobile di lavoro, ne faccio a meno, sapendo comunque di poter contare su un altro mio numero privato per comunicazioni urgenti. Tutto qua. Il giorno 27 ero tornato regolarmente rintracciabile ma ricevo la lettera in cui mi si chiedeva di non rientrare in Teatro».
Eppure il maestro Segalini vanta un curriculum straordinario. Nato nel ’44 a Castell’Arquato (Piacenza) poi trasferitosi in Francia, critico e direttore della prestigiosa rivista «Opera International», autore di saggi monografici, esperto di voci, del nostro Settecento musicale più una ben salda esperienza alla guida artistica di alcune delle realtà musicali più significative d’Italia – ha lavorato per dodici stagioni, di cui cinque al fianco di Riccardo Muti, alla Scala di Milano, dal 2002 è stato segretario artistico e responsabile musicale del Festival di Spoleto, direttore artistico-musicale al Teatro Ponchielli e al Festival Monteverdi di Cremona, quindi alla Fenice di Venezia, al Comunale di Bologna, al Carlo Felice di Genova, al Festival della Valle d’Itria.
Ora il maestro si domanda: «Perché mi hanno chiamato a Napoli? Credevo di poter lavorare proponendo novità, di valorizzare la cultura partenopea, di promuovere, secondo quanto voluto anche da Muti, la rinascita di Napoli come capitale della Musica, di scoprire giovani squadre di talenti da segnalare per il futuro. Forse, l’Italia di oggi, non vuole il mondo che persone come me rappresentano… Ora, mi creda, non vedo l’ora di andar via da Napoli. Qui è un inferno».