Ogni paese ha dei vecchi mestieri nel cassetto, avete presente quel lavoro lì che nessuno vuole più fare o per cui la tecnologia ha trovato una macchina apposita per farlo?
Ecco proprio di questo parliamo oggi! Diamo una bella spolverata a quei mestieri che sono stati un po’ dimenticati:
Il Padulano
Questo termine deriva da padule ossia le pianure che si estendevano da Napoli a Portici, il padulano altri non era che l’ortolano che vi coltivava ortaggi e verdure di ottima qualità. Il paddulano si alzava prima dell’alba mettendo sul carretto trainato da un’asino o sull’asino stesso una specie di grossa sacca di paglia intrecciata stretta detta la sarma in cui metteva la verdura e gli ortaggi da vendere a Napoli in questa fase il padulano è detto sarmataro.
Il Cacciavino
Ossia il garzone del vinaio che portava agli ubriaconi il picton del mattino o il litro della sera.
Il Maruzzaro
Colui che andava a caccia di maruzze (lumache), si alzava presto la mattina e andava a cercarle o le comprava dai contadini che li portavano al mercato e dopo averli messi a spugnare tenendoli sotto un vaso rovesciato li bolliva con un pò di sale e qualche pomodoro o con un ciuffo di prezzemolo o di cerfoglio. il maruzzaro poi, metteva il suo pentolone su di un cesto basso (sporta) pieno di cenere e di brace e vendeva le maruzze nei piatti accompagnate dalle freselle (schiacciate di farina di frumento).
Il Maccarunaro
Questo non è molto difficile da indovinare, nel XV secolo per ottenere la pasta detta “maccarone” si iniziò ad usare un attrezzo che si chiamava trafila o ngegno, nel quale si comprimeva la pasta di farina di grano che otteneva così una forma schiacciata. Il nome di maccaronaro veniva dato sia al fabbricante sia al venditore di maccheroni già cotti. Quest’ultimo sistemava sulla strada i fornelli rischiarati da deboli lumi di arenaria e ricoperti da una larga tenda catramata; accanto alla caldaia, da dove tirava fuori i maccheroni ancora bollenti erano sistemati a piramide i formaggi con cui li cospargeva.
‘O Caprare
Il pastore dedito all’allevamento ed al pascolo delle capre.
‘O Caprare chiamava le sue capre per nome (Angiolina, Carmilina, Assuntina), quasi come fossero persone a lui molto care, anche perché gli assicuravano il pane quotidiano, sia per la vendita del loro latte, appena munto direttamente nelle ciotole dei clienti, sia con la vendita dei prodotti caseari derivati (la ricotta fresca, la caciotta, il formaggio stagionato – il caprino).
‘O Cappellare’
Ossia il Cappellaio, colui che fabbricava e vendeva cappelli di varia foggia e varia tipologia.
chi fabbrica e vende.
La Spicaiola
La spicaiola faceva arrostire su una piastra arroventata al forno (testera) piena di fuoco, delle spighe di mais (spiche) che chiamava pollanche, questo avveniva normalmente nelle ore serali, la mattina, invece, vendeva le spighe bollite in una caldaia posta su un piccolo carrello molto basso.
Il Solachianiello
Cioè il ciabattino, nella sua figura di venditore ambulante, operava mettendo i suoi attrezzi in un cesto come vecchie suole di scarpe ed ogni forma di ritaglio di cuoio che non butta mai anche se tagliandole diventano minuzie.
A questa figura si affianca quella del polizza stivali un ragazzo o un uomo vestito di stracci, sporco, unto insomma una figura trasandata che si poneva con il suo banchetto lungo la strada con l’occhio puntato sulle scarpe dei viandanti per offrire i propri servigi a coloro che hanno le scarpe impolverate. Il polizza stivale è molto spesso un lazzarone che cerca di guadagnarsi pochi soldi per comprarsi una fetta di pizza o di melone o anche delle cicche.
Il Cepollaro
Si trattava di contadini della provincia di napoli che venivano a piedi dalle campagne dove raccoglievano le cipolle e gli agli, li legavano a forma di treccia il loro prezioso raccolto e lo ponevano sulle spalle, la gente li fermava per far provvista.
‘O Mellunare
Venditore di angurie e meloni, anticamente ambulante, che andava girando per le vie di Napoli con una carretta tirata da un bellu ciucce sardagnuolo (un bel asino sardo) offrendo la sua merce al grido di:
“Tenghe ‘e mellune chiene ‘e fuoche, Me pare ca ‘nce sta’ ‘ o Diavele ‘a dinte!, te pare ‘e vedè ‘o fuoche ‘e ll’inferne.
Tante do’ russe, ca pare ca s’è appicciate ‘o ciucce cu tutte ‘a carretta
(Ho cocomeri pieni del color del fuoco, mi sembra che in essi ci sia il diavolo, e sono così rossi che pare il fuoco dell’inferno. Tanto sono rossi che sembra che si è incendiato l’asino con tutto il carretto).
‘O Patanare
Il venditore ambulante di patate. Un tempo girava per le strade ed i vicoli di Napoli a piedi con un sacco a tracolla pieno di patate, appena estirpate dal terreno e andava vendendole.
‘O patanare ambulante ogni giorno riusciva a venderle tutte, in seguito, con l’aiuto di un carrettino trainato da un asinello, aggiunse alla sua offerta di patate anche i piselli nel periodo della loro crescita.
‘O Pasticciere
chiamato anche ‘O Dulciere. Che faceva e confezionava dolci. Fu ed è un mestiere, che nella nostra città ha sempre dato da vivere a chi lo intraprendeva, soprattutto per la golosità innata alle cose dolci di noi Napoletani, tanto che sia per festeggiare un avvenimento o l’anniversario di qualcuno o di qualcosa non mancano mai una buona quantità di dolci.
L’Acquaiuolo
Il venditore di acqua fresca, aveva un banchetto di marmo e fra le sue bevande c’era un acqua ferruginosa che conservava in ampolle di terracotta “acqua e mummere”.
il Canestaro
il fabbricante e venditore di ceste
Il Cardalana detto anche O Matarazzare
Ambulante che con il suo attrezzo rudimentale “scardasso”. Allargava i batuffoli di lana che riempivano materassi e guanciali rendendoli morbidi e voluminosi
Il Carnacuttaro
Ossia il venditore di frattaglie cotte e di una zuppa invernale fatta con le stesse. Detto anche il trippaio, i suoi prodotti sono la parte dura dello stomaco di un bovino come:
( ‘o Call’ e trippe), l’intestino, ( ‘o Cientepelle), le frattaglie cotte nonché, sempre cotti, ma con i piedi ed il muso del maiale, (‘o Pere e ‘o musse), i piedi ed il muso del maiale puliti da peli e cotti, trattati, poi, con sale che fuoriesce dal un corno d’osso e con una abbondante spremuta di limone.
In passato fino agli anni sessanta si poteva gustare in botteghe apposite dette della carnacotta la zuppa di carne cotta in bianco, fatta di frattaglie e di trippa servita su una Fresella ( biscotto di pane duro), mentre se la zuppa era in rosso, il cosiddetto (‘o Zoffritto) si trattava di mangiare le Freselle condite con salsa fatta di peperoncini rossi forti.
Non molto tempo fa era noto nei vicoli di Napoli Ciccio ‘O Stentenielle, che con un carrettino pittoresco trainato da un cane al grido di ” S’arrobbane ‘e piatte, s’arrobbane ‘e piatte” con i suoi prodotti riusciva a sfamare operai ed artigiani durante la pausa di mezzogiorno con un minimo esborso con i suoi lampredotti ripieni (interiora di agnelli, puliti, arrotolati e cotti con grasso di maiale condito con pomodori e spezie), chiamati ‘ e Turcenielle.
‘E Carnacuttare, potevano annoverare due sottospecie di venditori:
‘ 0 Cutecare, il venditore di cotiche, che andava girando al grido di “Cavaliè, ‘e perz’ ‘a valanza, a ‘nu carrino ‘a cotena, ‘a tracchia ‘e ll’ossa” cioè: Cavaliere, ha smarrito la bilancia, con un Carrino (antica moneta di rame) ti dà una Cotica, una Tracchia ( un costereccio di maiale) e leOssa (per fare un ottimo brodo)”.
‘‘O Purmunare” ( venditore di polmoni a frattaglie e carni scadenti ad uso per i gatti).
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